Oggi vorrei parlare di una modalità di interpretazione che in questi ultimi anni di libera professione mi capita spesso di affrontare e che devo ammettere mi sta dando anche molte soddisfazioni. Parlerò del community interpreting ovvero dell’interpretazione (o interpretariato) di comunità. Tuttavia, prima di parlare della mia esperienza personale, bisognerebbe capire meglio che cosa si intende per community interpreting che si differenzia molto dalle altre modalità di interpretazione di cui ho già parlato in questo mio blog ovvero, in ordine di pubblicazione, interpretazione consecutiva, interpretariato in fiera e interpretazione simultanea.
Nel community interpreting il contesto e il destinatario d’uso svolgono un ruolo fondamentale. Maria Chiara Russo e Gabriele Mack dedicano un capitolo dal titolo La formazione di interpreti in ambito sociale in Italia e all’estero contenuto all’interno del loro saggio Interpretazione di trattativa – la mediazione linguistico-culturale nel contesto formativo professionale in cui la professoressa Mette Rudvin descrive la richiesta sempre più diffusa di servizi di mediazione linguistica in ambiti che esulano dalla classica e più conosciuta interpretazione di conferenza: nello specifico si tratta dell’interpretazione per i servizi pubblici, vale a dire una particolare modalità di interpretazione che si espleta in campo sociale o in seno ad istituzioni giuridiche o di pubblica sicurezza, uffici di immigrazione, strutture sanitarie o presso i servizi sociali[1].
Spesso tale modalità viene inserita nella categoria di interpretazione più ampiamente conosciuta come interpretazione di trattativa, la quale tuttavia si riferisce in linea più generale all’ambito commerciale e/o fieristico. Nello stesso saggio e in questo interessante articolo di Intralinea si dibatte infatti quanto sia più o meno giusto far assimilare la modalità dell’interpretazione di comunità alla categoria più generale dell’interpretazione di trattativa. Non è questa la sede per stabilire i confini di queste due modalità, che tuttavia si differenziano solo per il contesto d’uso e per l’impostazione mentale dell’interprete più che per la tecnica di resa in sé. In questo articolo mi concentrerò piuttosto sulla mia esperienza come interprete di comunità e sull’approccio psicologico che è necessario adottare in questo particolare contesto lavorativo.
LA MIA ESPERIENZA COME INTERPRETE DI COMUNITÀ
Nel corso dei miei 22 anni di esperienza professionale mi è capitato talvolta di lavorare dal vivo presso tribunali e commissariati di polizia, ma mai come in questi ultimi anni, in cui l’interpretariato da remoto è letteralmente esploso, mi sono trovato sempre più spesso a collaborare con enti pubblici, tribunali, reparti ospedalieri, penitenziari, servizi sociali, studi di psichiatria e psicoterapia, ecc. sparsi nei cosiddetti tre paesi DACH (Germania, Austria e Svizzera). Si tratta di servizi, molto spesso di breve durata, in cui mi chiedono di tradurre per conto di cittadini italiani che non riescono a comunicare in tedesco con i vari uffici di riferimento. Si tratta di servizi estemporanei, che mi piace definire “toccata e fuga”, in cui visto lo scarso preavviso i tempi di preparazione sono pressoché inesistenti e in cui conta molto il proprio livello di esperienza pregressa, ma soprattutto la propria capacità di adattamento nel sapersi districare tra i vari accenti dei tre paesi di lingua tedesca, ma soprattutto con i vari dialetti italiani in cui molto spesso parlano i cittadini italiani che dobbiamo assistere linguisticamente.
INTERPRETE DI COMUNITÀ: QUALE TECNICA ADOTTARE?
Quando prima si parlava della necessità più o meno discutibile di distinguere il community interpreting dall’interpretazione di trattativa, un elemento è evidente ed io stesso posso confermarlo per esperienza diretta. Che si usino gli appunti o solo prevalentemente la memoria non ha alcuna importanza. Ogni interprete può adottare la propria strategia che varia a seconda del destinatario e della situazione in cui si trova ad operare. Per quanto mi riguarda, carta e penna sono sempre con me, ma utilizzo prevalentemente l’ascolto. Non è immediato capire le esigenze delle persone che dobbiamo assistere. Si tratta di persone in una particolare condizione emotiva che molto spesso faticano a mettere in ordine le loro idee e ad esprimerle in maniera chiara. Il mio consiglio è di mantenere i nervi saldi e di non interrompere il flusso di pensieri e parole, spesso confusionario, perché serve per capire le richieste pratiche, a volte emergenti, che dobbiamo tradurre. La qualità dell’audio da remoto – va detto – non è nostro alleato, ma bisogna concentrarsi sul messaggio da rendere sia verso la lingua straniera che verso l’italiano nella maniera più semplice possibile. La mia sensazione è che devono capire che siamo lì per aiutarli, pur mantenendo una certa distanza dai fatti non sempre facili da cogliere, da rendere, ma soprattutto da affrontare.
L’APPROCCIO PSICOLOGICO DELL’INTERPRETE DI COMUNITÀ
Lavorare in contesti socio-sanitari complessi, seppur a distanza, per forza di cose ti proietta in situazioni che nella maggior parte dei casi sono assolutamente fuori dalla propria comfort zone. Per quanta esperienza e maturità intellettiva possiamo avere, trasmettere e quindi tradurre determinate notizie o riportare traumi o incidenti di cui si è stati vittime non è mai facile. Servono molta empatia e autocontrollo, ma soprattutto quella giusta dose di distanza che ci permettono di non subire noi stessi i fatti che stiamo riportando, al fine di evitare, nella peggiore delle ipotesi, il trauma vicario derivante proprio da una tensione emotiva e dalla presenza di una relazione empatica tra l’interprete e la persona da tradurre.
Il trauma vicario è quel meccanismo neurofisiologico della comprensione empatica del dolore che si basa sul rispecchiamento dell’altrui condizione dolorosa, ottenuta tramite una simulazione interna che comporta l’attivarsi delle proprie aree del dolore. Dai dati provenienti dalle neuroscienze emerge che empatizzare con il dolore degli altri comporti provare realmente un certo grado di dolore, proporzionale al coinvolgimento affettivo con colui con il quale si empatizza[2].
Non è facile mantenere un atteggiamento di neutralità per chi svolge professioni di aiuto e in questo l’interprete non è da meno. Quando l’assistenza tende a prolungarsi, aumentando i rischi della traumatizzazione vicaria, è necessario non trovarsi da soli, dopo aver vissuto queste esperienze, e ristabilire contatti con il mondo esterno. Rispettando la riservatezza che ci viene richiesta in contesti così delicati, è doveroso riuscire a sfogare il carico emotivo accumulato. Per me personalmente significa praticare sport, se possibile, il giorno stesso. Prendersi cura della propria salute mentale, soprattutto in considerazione dell’alto carico cognitivo, e in questo caso emotivo, della professione dell’interprete è di primaria importanza.
COMMUNITY INTERPRETING: CHE COSA MI HA INSEGNATO?
In conclusione, posso affermare che il community interpreting mi sta insegnando davvero molto in termini di flessibilità e di gestione delle emozioni. Ancora una volta tale modalità ci spinge a fare molta autocritica verso se stessi a livello personale e professionale. Il livello di responsabilità talvolta è decisamente più alto rispetto ad altri contesti più formali e tecnicamente più complessi, visto che abbiamo a che fare con la salute fisica e mentale e, non meno importante, con la libertà della persona a cui stiamo letteralmente dando una mano. Credo che lavorare in tali contesti sia funzionale alla nostra preparazione mentale, anche durante lo svolgimento dell’ordinaria attività di interpreti di conferenza. È un’ottima base di preparazione mentale ed emotiva che ci potrà rendere sicuramente interpreti umanamente migliori.
[1] Per una trattazione più dettagliata si rimanda all’articolo di Mette Rudvin La formazione di interpreti in ambito sociale in Italia e all’estero in Russo, Mariachiara e Gabriele, Mack (a cura di) (2005) Interpretazione di trattativa. La mediazione linguistico-culturale nel contesto formativo e professionale. Milano: Hoepli.
[2] Definizione ripresa dal sito web: https://www.milanopsicologo.it/trauma-vicario/