Sprachen, Unterrichten

INSEGNARE – UN ESERCIZIO DI RIFLESSIONE E SEMPLIFICAZIONE NECESSARIO

Dopo più di 10 anni sono tornato in cattedra. Nei mesi di marzo, aprile e maggio di quest’anno ho insegnato lingua inglese presso un Istituto Professionale come esperto esterno per un PON ovvero un corso extracurriculare sovvenzionato da fondi europei. Il livello linguistico di provenienza dei discenti era molto vario, visto che ho insegnato a studenti di classe terza, quarta e quinta di scuola secondaria di secondo grado. L’obiettivo del corso era potenziare e approfondire le famose quattro competenze dell’apprendimento linguistico (reading, writing, speaking, listening).

Non è stata la mia prima esperienza didattica. Per i primi sei anni di libera professione ho anche insegnato in una facoltà per interpreti e traduttori. Si trattava di un contesto totalmente diverso, in cui la lingua in quanto tale era un vero e proprio obiettivo avvalorato dalle tecniche di interpretazione e traduzione.

Insegnare inglese a ragazzi in una fascia di età compresa tra 16 e 18 anni è ben altra cosa. Oltre alla spontaneità e alla genuinità legata alla loro età, ho saputo apprezzare anche la praticità e l’immediatezza da cui di solito questo tipo di scuola è caratterizzata.

Noi interpreti e traduttori, in quanto professionisti della comunicazione multilingue, siamo spinti a dare per scontate la conoscenze di base e la capacità di espressione verso una lingua straniera. Quando ci troviamo in una scuola superiore, in cui le ore dedicate all’apprendimento linguistico di solito non sono mai molte, siamo costretti a fare un passo indietro, forse anche qualcuno in più. Dobbiamo ridimensionare le nostre aspettative e capire come alleggerire aspetti dell’apprendimento linguistico, come la fonetica, la pronuncia e soprattutto la grammatica. È necessario un approccio pragmatico avulso da regole e da tutta quella parte teorica di cui i libri di testo oggi sono davvero troppo pieni.

Durante la programmazione delle mie ore di lezione mi sono concentrato su un solo obiettivo: fornire strumenti pratici che potessero portare i discenti a parlare inglese con più facilità e immediatezza. Ho dato molta importanza alla pronuncia e alla fonetica, forse più che alla grammatica. Da interprete mi sono sempre detto che una frase pronunciata in maniera corretta e comprensibile all’orecchio di un madrelingua ha più effetto e comunica meglio di un’imprecisione grammaticale. Non sono mancate lezioni grammaticali dove ho spiegato i concetti di presente, passato e futuro dal punto di vista anglosassone, senza far pesare troppo, tanto per fare un esempio, il fatto di dover imparare a memoria i principali verbi irregolari, quelli di uso comune e più legati alla quotidianità. Il cosiddetto “roleplay”, il gioco di ruolo, su argomenti a loro più vicini è stato predominante e devo dire anche molto utile. Ora pensano qualche istante in meno prima di dire una frase. Sono più spontanei e soprattutto hanno meno paura di sbagliare.

La mia formazione e soprattutto la mia esperienza sul campo come interprete mi ha aiutato molto a farli ragionare su quanti infiniti modi abbiamo a disposizione per comunicare qualcosa. È la bellezza del linguaggio universale che come le scatole cinesi può continuare all’infinito. Per la fonetica sono stati utilissimi gli esercizi di “shadowing” (ripetere una frase allo stesso identico modo in cui viene ascoltata) che consiglio sempre a tutti e con cui di solito ci si diverte molto. Si sono ritrovati a ripetere parole, di cui prima non conoscevano precisamente la pronuncia, in maniera spontanea e senza troppi esitazioni.

Insegnare è un esercizio di riflessione e semplificazione necessario, che noi professionisti della comunicazione dovremmo svolgere di tanto in tanto. Il linguaggio, la lingua e le modalità espressive che ogni idioma utilizza si evolvono. Mettersi dall’altra parte, salire in cattedra è fondamentale per migliorare la nostra capacità di sintesi di cui abbiamo bisogno mentre svolgiamo i nostri servizi.

Albert Einstein disse: “Se non lo sai spiegare in modo semplice, non l’hai capito abbastanza bene.” E se l’ha detto colui che ha scoperto la teoria della relatività, uno dei pilastri della fisica moderna e della meccanica quantistica, credo che non possiamo che essere d’accordo, soprattutto in questo nostro mondo sempre più complesso e sempre meno incline a una comunicazione chiara e trasparente.

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