La caldissima estate, ormai agli sgoccioli, mi ha visto alle prese con un incarico impegnativo e al contempo prestigioso. Tradurre il più grande egittologo al mondo, Zahi Hawass, mi ha portato a rivedere una delle tecniche fondamentali dell’interprete: l’interpretazione consecutiva.
Prima di entrare nel vivo, è bene fare una premessa. Quando mi è stato conferito l’incarico, l’identità del mio relatore mi è stata svelata soltanto quattro giorni prima del servizio. Inoltre, non avrei ricevuto nessun materiale di riferimento, visto che il relatore sarebbe andato a braccio. L’occasione dell’intervento di Hawass presso il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria era il centenario dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, il faraone fanciullo ovvero il più famoso e misterioso imperatore dell’Antico Egitto.
Come al solito, il tempo a disposizione per garantire una solida preparazione non era molto. Per ottimizzare il mio lavoro ho preso due strade; la prima era cercare di capire come avrebbe parlato in inglese l’esperto egiziano (tra le varianti forse meno comprensibili), la seconda, successiva e concomitante alla prima, era rispolverare tutto il mio bagaglio culturale sull’Antico Egitto e soprattutto studiare la XVIII dinastia durante il periodo del Nuovo Regno. Quindi, dopo aver visionato alcuni video su YouTube di alcuni interventi di Hawass in giro per il mondo, soprattutto nelle università nordamericane, ho ripreso i libri di storia di mio figlio per un’infarinatura generale sull’Antico Egitto. Dopodiché mi sono messo giù con carta e penna a disegnare l’albero genealogico di Tutankhamon. Qualcosa mi diceva che avrei dovuto affrontare una carrellata di nomi (per me impronunciabili). Per ogni nome ho preso nota delle caratteristiche principali dei vari componenti della dinastia. Una cosa era chiara. Avrei avuto a che fare con un incarico particolarmente denso di informazioni. Qualcosa tuttavia era dalla mia parte. L’interesse verso questa materia era particolarmente vivo, seppur non l’avessi ancora mai affrontata seriamente come questa volta.
Arrivato il giorno dell’incarico, devo ammettere che mi sentivo abbastanza preparato ma consapevole che avrei avuto a che fare con un oratore davvero ostico (e così è stato). A volte nei minuti di attesa è buona norma interloquire con l’esperto da tradurre, se non altro per capire il suo accento e rendermi conto meglio degli effettivi contenuti che da lì a poco sarebbero stati esposti. Zahi Hawass non si concede in chiacchiere e le temperature particolarmente elevate all’interno della sala adibita alla lectio magistralis gremita di gente non lo rendevano particolarmente propenso a confrontarsi con l’interprete. Tra l’altro, durante il discorso, voleva avere il podio tutto per sé e nessuno doveva stargli accanto.
Come affrontare a livello tecnico un incarico di interpretazione consecutiva di questo tipo? La buona scuola ci dice di prendere gli appunti mentre stiamo ascoltando, in modo da avere una buona base di appoggio per la nostra memoria al momento della resa. Questo è il principio che mi sono portato avanti in questi vent’anni di libera professione, sebbene nel corso del tempo ho imparato a sfruttare meglio la memoria a discapito di una minore quantità di appunti presi. I primissimi minuti dell’intervento mi hanno fatto subito capire che cercare di prendere appunti non mi era assolutamente di aiuto. Zahi Hawass parlava molto velocemente e per di più non mi lasciava il tempo necessario per completare la mia resa. L’unica cosa da fare era memorizzare più possibile la sua narrazione, perché effettivamente aveva instaurato un rapporto di storytelling con il suo pubblico, e prendere nota soltanto dei nomi da lui citati nello stesso modo in cui venivano pronunciati dall’oratore, mettendo da parte tutto il lavoro preliminare di simbologia dei vari faraoni. Cosa fondamentale, inoltre, era concentrarsi sulle informazioni principali ed essere sintetico, chiaro e veloce, senza risultare troppo concitato, nella resa in italiano, per la quale mi veniva concesso talvolta davvero troppo poco tempo. Dopo i primi cinque minuti, nonostante i ritmi serratissimi, mi sentivo in sintonia con l’oratore e chi tra il pubblico riusciva a seguire anche in inglese se ne è accorto ed ha apprezzato il mio lavoro, in assoluto tra i più sfidanti degli ultimi anni di libera professione.
Credo, e sono quasi convinto di non sbagliarmi, che gli interpreti in generale prediligano l’interpretazione simultanea, che per quanto impegnativa per il carico cognitivo previsto, è più rassicurante, vuoi per il fatto che non si viene visti e inoltre abbiamo la possibilità di farci assistere dal nostro compagno o dalla nostra compagna di cabina. Insomma, per oratori particolarmente ostici e non così “interpreter-friendly”, per così dire, la consecutiva può rappresentare una grande sfida soprattutto emotiva, ma che può invece insegnare molto a noi interpreti dal punto di vista psicologico, ma anche e soprattutto tecnico. Gli appunti sono solo un mezzo per lo strumento principale dell’interprete: la memoria. Ogni minima distrazione che possa compromettere la nostra capacità di memorizzazione è bandita. Non c’è una sola scuola di pensiero e ogni interprete ha le proprie peculiarità e i propri punti deboli. Il mio è sicuramente il note-taking. Non riesco a scrivere bene e velocemente ed è per questo che ho fatto della memoria il mio strumento compensativo per eccellenza.
Come sostiene la maggior parte degli studiosi di interpretazione di conferenza, posso confermare l’importanza e la propedeuticità dell’interpretazione consecutiva, di cui noi interpreti non possiamo fare a meno, perché ci insegna a sviluppare la nostra capacità mnemonica. L’interpretazione consecutiva è a tutti gli effetti la madre dell’interpretazione simultanea, è l’esercizio necessario al quale ogni interprete deve sottoporsi sia durante il percorso formativo che professionale. Ci obbliga a stare in prima linea, visto che il pubblico si accorge della nostra presenza.
Quando lavoriamo come interpreti consecutivisti, non siamo solo una voce, ma diventiamo parte attiva, in carne ed ossa, del processo comunicativo interlinguistico in atto.