Interpreting, Languages, Translation

LA LINGUA STRANIERA NON È SOLTANTO UN OBIETTIVO PRESTAZIONALE

Chi lavora come interprete e traduttore non dovrebbe mai perdere di vista l’amore primordiale che lo ha spinto a scegliere questo lavoro. Non so voi, ma prima di capire che questo fosse il mestiere giusto per me, io amavo soprattutto le lingue straniere che ho incontrato nel corso dei miei anni di studio. Probabilmente sto dicendo una cosa banale, ma non credo lo sia.

Noi interpreti e traduttori ci troviamo molto spesso ingabbiati nel servizio che forniamo senza godere a pieno della nostra principale competenza: la lingua straniera. Gli stressanti tempi di consegna di un testo da tradurre e i ritmi frenetici che siamo chiamati a seguire mentre traduciamo un oratore in simultanea, tanto per fare alcuni esempi, talvolta ci fanno dimenticare la bellezza della lingua dalla quale o verso la quale stiamo traducendo. La performance che non ci soddisfa mai abbastanza non ci fa godere a pieno la nostra principale materia prima. Se consideriamo che il più delle volte, almeno nel mio caso, si ha a che fare con linguaggi molto tecnici, non è facile riapprezzare ogni volta quella scintilla che ci ha fatto innamorare per la prima volta di una lingua straniera. Si ha la sensazione di sentirci lontani dalla lingua in sé, proprio perché siamo troppo concentrati sul risultato, sulla performance, al punto da sentirci scarichi e vuoti come alla fine di un lungo e complesso processo di produzione.

Avete mai pensato a questo aspetto? Io molte volte e ho fatto sempre di tutto pur di mantenere vivo quel fuoco della passione che mi ha spinto a godere a pieno della lingua, proprio come in qualsiasi rapporto amoroso che si rispetti.

Esposizione linguistica

Credete sia tempo perso leggere romanzi in tedesco o in inglese quando si traducono manuali tecnici o convegni medici? La risposta è no. Mi premuro sempre di espormi alle mie lingue di lavoro quanto più possibile, esercitando le famose quattro competenze dell’apprendimento linguistico. Sì, continuo a farlo tuttora nonostante gli anni di esperienza alle spalle. Non perdo occasione, qualora si presenti, di parlare in lingua del più o del meno con chi mi capiti sotto mano, di guardare un po’ di TV in lingua e di leggere più possibile (romanzi, saggi, riviste, ecc.) nelle mie lingue di lavoro. Tra l’altro, sono tutte abitudini da cui ho trovato molto giovamento per molti aspetti durante i miei incarichi di interpretariato e traduzione.

Insegnare una lingua straniera come atto di riflessione su noi stessi

In questi anni di libera professione mi è capitato spesso di insegnare sia simultanea/consecutiva che lingua tedesca e inglese. Ho notato che è soprattutto insegnando una lingua che si può apprezzare ancor di più la bellezza delle nostre lingue di lavoro, perché riscopri il piacere dell’intrigante sintassi tedesca o della varietà semantica e della potenza comunicativa dell’inglese.

In sintesi, credo sia fondamentale tornare ad amare le nostre lingue di lavoro e non considerarle più soltanto come mero mezzo per raggiungere i nostri obiettivi prestazionali. Godiamocele a pieno! Riflettiamo ancor di più su di esse, come quando abbiamo iniziato a muovere i primi passi nel magico mondo delle lingue.

Non so voi, ma è proprio lo studio delle lingue straniere che mi ha reso un parlante nativo ancor più consapevole della mia lingua madre: l’italiano. Lo diceva anche il grande Johann Wolfgang von Goethe: ​“Wer fremde Sprachen nicht kennt, weiß nichts von seiner eigenen.“ (Colui che non sa le lingue straniere, non sa nulla della propria).

E voi cosa ne pensate? Avete mai preso in considerazione questo aspetto? Mi piacerebbe leggere i vostri punti di vista qui sotto o nella sezione dei commenti.

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